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| Chi è Jago?

Conosciuto dai media italiani ed internazionali come “il nuovo Michelangelo”, o “colui che ha spogliato il Papa”, Jago è uno scultore italiano classe ‘87, che alle sue basi tradizionali ha saputo dare un tocco in più: la connessione tra la tecnica classica e la comunicazione moderna ha fatto si che questo ragazzo, di soli 30 anni, scalasse le vette nel suo settore. Insomma, un vero orgoglio italiano.

Ha cambiato completamente la concezione che tutti noi abbiamo di artista ed opera, condividendo sui social media i making of delle sue opere e interagendo con i suoi follower con una semplicità e umiltà fuori dal comune. Grazie alla sua autenticità è stato in grado di diventare imprenditore di se stesso, senza dipendere da “pezzi di carta”, ma solo dal suo talento e dalla sua motivazione.

Ho conosciuto la figura di Jago qualche anno fa. Cercavo un modello sul quale scrivere una tesi su un artista contemporaneo per un compito scolastico. Inutile dire che parlare con lui, per me, è stato un grande piacere e onore, e sono più che felice di potervi offrire questa veloce, ma davvero importante, intervista. Può essere letta come una chiacchierata tra conoscenti; poco formale e semplice. Nessun parolone, nessun discorso perso, ma concretezza e semplicità, proprio come Jago.

Un artista che appare cosi semplice compie in realtà grandi imprese: opere di dimensioni mozzafiato, resa iperrealista della pelle, dei dettagli. Ha addirittura mandato una sua scultura nello spazio. No, non scherzo, eccola qui.

“The first baby”, 2019

Queste sue imprese eroiche sono state ispirate dai grandi del passato, ma lui ne ha messo del suo, e anche molto. Oltretutto, Sgarbi non ti considera degno d’ammirazione e ti invita alla Biennale cosi a caso.

In passato l’artista mostrava al pubblico solo il pezzo finito, ma tu ci rendi partecipi dell’ intero processo, del dietro le quinte. Secondo te, cosa è “opera” oggi?

Dipende da cosa si intende per “opera”. 

Per me l’opera, appunto “operare”, è tutto quello che faccio dall’inizio alla fine, dal concepimento alla messa al mondo (un po’ come un figlio), e quindi alla restituzione. Tutto il percorso, che io provo direttamente, secondo me è opera;

Questa parte, che di solito non viene studiata, ci è stata raccontata da testimoni oculari e dagli stessi artisti; ci arrivano delle informazioni che dobbiamo dare per buone. Le cose vere, però, sono quelle che fanno parte della quotidianità di una persona, ovvero le cose che accompagnano e che la descrivono, come che cosa mangia e chi frequenta.

Oggi c’è la possibilità di poter comunicare utilizzando nuovi mezzi, che ti danno la possibilità di colmare quei vuoti della comunicazione. Posso finalmente raccontare il making of di un’opera, cosa che è sempre stata lasciata all’immaginario collettivo. Quando ti dicono “Il Sanmartino ha fatto in 3 mesi il Cristo Velato” ma poi vedi il video, vedi 200 operai che avevano copiato letteralmente il bozzetto fatto e “te cala un po’ la poesia”. Mostrare però la parte creativa attraverso, per esempio, un video, ha la forza di diventare opera.

Quelle parti che fino ad oggi mancavano, le possiamo finalmente raccontare. E secondo me sono parte dell’opera.

“Pietà”, 2021. Photo credit to Massimiliano Ricci.

Ci aiutano a capire anche che c’è l’elemento umano dietro a tutto questo, e che noi siamo umani; possono incoraggiare un ragazzo a dire “oh, ma guarda l’ha fatto con le sue mani, effettivamente le ho anche io due mani. Anche io potrei riuscirci.”

Questa comunicazione, quindi, potrebbe anche aiutare i giovani futuri artisti ad avere più fiducia nelle loro capacità, potendo vedere un pratico esempio?

Io lo spero. Spero che possano dire: “Guardate, Jago ha fatto questa roba qui, utilizziamolo come trampolino di lancio per fare le nostre MEGLIO di come le ha fatte lui”.
Perchè questa è l’evoluzione della quale dobbiamo renderci partecipi: se sai fare una cosa, è normale che la metti a disposizione della collettività; sennò io a chi mi rivolgo? Sono cose che rivolgo ad un pubblico, quindi è giusto che venga usata come base per le cose che faranno gli altri.

Come potrà cambiare, secondo te, il mercato dell’arte in seguito alle novità che stanno uscendo in questi ultimi 2 anni, come gli NFT ad esempio? Che impatto pensi che avranno?

Così è oggi, così è sempre stato, così sarà. 

La tecnologia ha sempre aiutato lo sviluppo della creatività; la stessa tecnologia è frutto di un processo creativo dell’individuo.

Quello che penso è che quello che sta succedendo è del tutto naturale, e riguarda la nostra evoluzione come genere, a livello di linguaggio e di espressione. Tutto questo partecipa a cambiare il modo in cui percepiamo cosa è considerabile opera d’arte; condiziona il gusto collettivo delle persone, i valori. 

Prima sentivi la necessità di comprare una cosa per metterla in casa, oggi compri la proprietà di un certificato relativo a qualcosa che non hai né necessità di tenere in casa, né addirittura di vedere dal vivo in un luogo. Ti accontenti dell’idea che quel certificato virtuale sia un valore reale, che può essere convertito in denaro, o semplicemente tenuto lì in caldo. E te lo guardi sul cellulare, lo condividi, o semplicemente sai di averlo. 

Questo significa che c’è una rivoluzione proprio nel modo in cui si percepisce il valore delle cose. Non mi sconvolge.

Credo che sia un modo in cui si può manifestare la nostra creatività e il nostro desiderio d’acquisto. Non escludo che io potrò in futuro fare cose di questo tipo come sperimentazione; insomma, a me interessa tutto e non escludo niente. 

Non sto li a dire questo è giusto e questo è sbagliato. 

Magari diventerà lo standard, o la tradizione, tra 200 anni. E’ giusto cosi.

Molte persone fanno fatica ad accettare il cambiamento. 

I media si riferiscono a te come “il nuovo Michelangelo”, ma molti non approvano; anzi, lo considerano un oltraggio al grande maestro. Cosa rispondi a chi ti critica cosi bho formula meglio?

Che ha ragione! E’ chiaro che ha ragione, perché non c’è ragione di paragonare. Prima di tutto Michelangelo ha la storia dell’arte dalla sua parte: ha avuto il tempo di potersi sedimentare nelle conoscenze di tutti e di creare uno standard a livello qualitativo totale mondiale che ha condizionato anche me.

Si fanno cose che vivono tempi diversi, raccontano la contemporaneità in modo diverso e io non mi pongo neppure il problema. 

“Pietà”, 2021. Photo credit to Massimiliano Ricci.

Ti posso dire è una cosa che da un punto di vista di comunicazione si è sempre fatta. Noi abbiamo bisogno di capire la realtà che ci circonda creando un paragone. Piuttosto che dire “quello è uno scultore in marmo”, che non ti fa capire che cosa faccio senza altri dettagli, facciamo dei paragoni; quindi, la prima cosa che facciamo è dire “è il nuovo quello”. È come per poter dire “guarda, si avvicina a quello”. 

Un po’ come quando guardiamo le nuvole, e diciamo “guarda, sembra una pecora” e tu capisci quale nuvola sto indicando; non è che è una pecora, però grazie al paragone capisci. 

Perciò, chi si mette a dire “no, è sbagliato non è il nuovo Michelangelo!” è come se volesse convincermi che quella nuvola effettivamente non è una pecora. Lo so, ho capito che non è una pecora, è una nuvola! Ma il paragone mi serve per farti capire che cos’è.

Posso essere felice che ci sia bonariamente un’associazione [a Michelangelo], vuol dire che alcune persone rievocano un sentimento che magari hanno provato guardando le sue opere, e questa è bella come cosa. 

Io mi sento di dover omaggiare e ringraziare i grandi maestri della tradizione da Canova, a Bernini, Michelangelo stesso, Leonardo, Raffaello, e tutti quelli che mi hanno ispirato. 

E’ grazie ai loro gesti che io ho trovato nella loro opera un linguaggio che capivo, che sentivo che mi riguardava, e che ho deciso di utilizzare, come tante belle parole di un vocabolario che ho preso per scrivere le mie poesie.

“Pietà”, 2021. Photo credit to Massimiliano Ricci.

Così funziona il mondo: anche una scoperta scientifica è fatta di tante piccole altre scoperte fatte da altre persone. Ci contaminiamo. 

Pensi che le parole che ti escono dalla bocca sono le tue? Da qualche parte le avrai prese. 

Quando dici “Ti amo”, quella idea di amore che tu associ a quella parola, a quel sentimento, chi ce l’ha messo lì dentro? Tu, ma attraverso i poeti, le canzoni, ascoltando e vedendo quando i tuoi genitori l’hanno usata e in che momento.

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Cosa ti spinge a ritrarre principalmente figure umane, e non astratte? Cosa comunicano a te in primis come artista?

Per me “astratto” e “figurativo” sono due parole che andrebbero eliminate dal vocabolario dell’arte. Tutto è figurazione. Quando trasformi un’immagine o una forma che hai nella testa in una forma fisica, stai facendo un gesto di figurazione.

Quando qualcuno fa un segno, butta il colore per terra e dice “ho fatto un’opera astratta”.. No! Tu hai fatto un opera che più figurativa di quella non esiste. Era astratta quando non c’era. 

Tu fai quel gesto, poi l’opera che hai fatto, lascia che possa essere il mio trampolino per l’astrazione. Io, per mia libera scelta, decido che quell’opera mi serve per astrarre. E’ un paradosso dirmi che quella cosa è astratta. 

E’ come dirmi che la parola Dio, è Dio. Una volta che l’hai chiuso nella parola, che Dio è? Dio è forse più di una parola. 

Come si dice: “il fiume è il bicchiere d’acqua che prendo per mostrartelo”. Ma una volta che l’hai chiuso nel concetto, che l’hai messo nel bicchiere, il fiume smette di fluire. 
Io scelgo di utilizzare la figura umana, non perché mi interessa il “figurativo”, ma perché è un linguaggio che capisco. Perché so che tra 200 anni un uomo e una donna capiscono; anche se non sanno più che significa il titolo, se parlano un’altra lingua, vedranno una mano e la riconosceranno.

Pensi che oggi sia essenziale seguire e terminare il percorso di studi artistico, per diventare un artista?

Non penso che non sia necessario concludere gli studi. 

Non avendo concluso il mio percorso di studi, mi piace pensare che sarò costretto a studiare per tutta la vita. 

Il problema culturale di avere dei contenuti, di sviluppare un pensiero, non è legato per forza al pezzo di carta. 

Quel pezzo di carta chi te lo da? Te lo danno delle persone che pensano di avere un certo livello di conoscenze. Ma chi ti dice che quel livello di conoscenze è assoluto? Assoluto addirittura a tal punto da poter decidere se il tuo lo è?

Io voglio continuare a studiare per tutta la mia vita; io non ho finito il percorso di studi per motivi che non sono legati al percorso di studi in sé, ma per motivi di carattere economico, di carattere di limite nella frequentazione e di esasperazione rispetto a certe situazioni. Evidentemente non era il mio percorso. Io mi sento di aver finito, l’ho concluso. 

“Apparato circolatorio”, 2017.

Poi che istituzionalmente non sia certificato che abbia concluso perché non ho il pezzo di carta che lo certifichi, quella è una cosa a parte.

Cosa posso invece dire ai ragazzi? 

Guardate, se vi interessa quello, continuate a farlo e impegnatevi, pensando che però quelle cose vi possano e debbano servire al di fuori. Perchè se lo fai per il pezzo di carta o per il voto, non servirà a nulla. Diventerai bravo a prendere appunti e probabilmente utilizzerai quella velocità e capacità quando lavorerai al ristorante, ma non è detto che ti servirà altrove. 

Se vuoi farti della cultura, se il tuo problema è culturale, oggi con un click puoi avere tutta la cultura di questo mondo. Allora perchè devi continuare a studiare? Perchè devi finire la scuola? Dammi un solo motivo.

Io, da persona che non ha frequentato l’accademia, ho giustamente risposto confermando e sostenendo che, messa così, la sua affermazione aveva effettivamente molto senso. Che senso avrebbe continuare la scuola con così tante informazioni disponibili ovunque?


Il motivo te lo do io, perchè c’è un motivo.

Se tu vuoi attingere ai contenuti, alla cultura, andando in biblioteca o su internet, cos’è quella cosa che aggiunge valore all’esperienza

E’ il rapporto umano, con persone che hanno fatto esperienza applicando quei concetti. 

Un medico che insegna all’università è chiaramente diverso da un libro che dice le stesse cose, perchè lui ti potrà raccontare in pratica, che cosa vuol dire applicare quelle cose; è lì che sta la differenza.

“Figlio velato”, 2019.

Il valore reale di frequentare l’università sta nella ricerca di persone che possano trasferirti in un nuovo modo, attraverso il filtro della loro esperienza, l’applicazione nel mondo reale di quei concetti, che altrimenti rimarrebbero sterili.

La differenza, però, starà in come applicherai la creatività. Un medico bravo è quello più creativo degli altri, è quello che vede soluzioni che non ci sono. 

Questa è l’unica cosa in comune con tutti i lavori, la creatività

La persona creativa è quella che in ogni settore fa la differenza. La creatività va alimentata, questo dovrebbe fare la scuola con i bambini: alimentare la creatività in ogni modo possibile. 

Che significato ha per te la materia, più precisamente il marmo?

Ha un’importanza fondamentale. 

Come materia è difficilissima da lavorare e devi mettere in conto che ci vuole tanto tempo.

E’ una cosa che ti sconvolge fisicamente, è come una sfida. Sai, un po’ come il percorso dell’eroe che deve sconfiggere draghi, mostri e fare guerre; che deve dimostrare a se stesso che davvero ce la può fare e che verrà ricordato.

Detail closeup

Da piccolino c’era in me un po’ questa sensazione quando guardavo le gesta di questi artisti che erano delle icone assolute, e sono riuscite ad esserlo perchè hanno fatto delle cose meravigliose mettendo alla prova il proprio corpo e la loro intelligenza.

La mente e la mano collegate in uno sforzo collettivo; questa cosa mi ha sempre appassionato.

Poi è un materiale che chiaramente, grazie a questi grandi maestri, si è meritato l’appellativo di “materiale nobile della tradizione”. 

Pensa un attimo, se tu vai all’estero quali sono le cose di cui ti vanti, a livello scultoreo? Per noi è proprio una cosa radicata nella nostra cultura.

Sei d’accordo oppure avresti detto altro?


Non mi aspettavo che l’intervista si rovesciasse; e da brava italiana che vive all’estero, non potevo far altro che confermare l’orgoglio della cultura artistica presente in Italia (c’è sempre un po’ d’orgoglio)

Eh si, ha un suo valore specifico, è oro per noi. Quindi, utilizzarlo, vuol dire già impreziosire quello che si fa. Bisogna farlo con rispetto, sapendo che porta con se tutto questo.

“Venere”, 2017.

Ringrazio ancora infinitamente Jago per aver condiviso con me, e con voi, le sue esperienze e per averci donato un po’ del suo tempo. Sperando di poterlo incontrare un giorno (e di vedere la pietà, che mi sono persa!!), mi limito per ora a dedicargli questo piccolo spazio: un articolo scritto da una persona che ha sempre visto un modello da seguire in lui, non solo a livello artistico, ma di mentalità e di intraprendenza. Grazie.


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